Sul pezzo
Poche (ma buone) parole
Se il caffè lo offrono i capi
In controtendenza rispetto alla più banale delle scelte, comincio questa mia rubrica “Sul pezzo” con un articolo che non ho scritto io. L’autore si chiama Davide ed è uno dei tanti tirocinanti che approdano nella nostra agenzia grazie alla facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Cagliari. Sì, “uno dei tanti” ma l’unico a cui ho affidato il compito di scrivere un articolo per il nostro blog. Questo perché, Davide, è riuscito a stupirmi sin dal suo curriculum, intitolato “Perché assumere il futuro? Il tirocinante del trimestre”. In più, perché ha dimostrato di essere un ragazzo di poche (ma buone) parole. E per un aspirante Copy è già tanta roba. Adesso, però, facciamo parlare la sua penna.
Marco Duò
Stai per iniziare un tirocinio universitario, hai visionato decine di tutorial su come servire il caffè alla giusta temperatura, ti sei allenato duramente sollevando intere risme di carta con la musica di Rocky in sottofondo, hai affinato la tecnica per una stretta di mano perfetta e studiato il pitch emozionale su dove ti vedi tra dieci anni.
Peccato, hai sprecato tempo.
Sembra incredibile ma si può (e si dovrebbe) fare un tirocinio universitario che non preveda corse al bar a prendere i caffè per tutti e lo sviluppo di una relazione quasi affettiva con la fotocopiatrice.
Quando sono entrato per la prima volta in Agenzia sono stato valutato solo per la mia voglia di imparare e di impegnarmi nei compiti che erano stati pensati per me.
D’altronde, un tirocinante dovrebbe essere considerato come un debuttante da istruire e formare, per cui si cerca di mettere a frutto le competenze pregresse al fine di incrementarne le possibilità in ottica futura, e la mia esperienza si è basata proprio su questo presupposto.
I primi giorni sono stati di studio e ambientamento: “ecco cosa abbiamo fatto, guarda questo progetto, studia questa case history”.
Farsi un’idea del nuovo mondo in cui sei appena atterrato è utile per convincersi che sei nel posto giusto.
Tutto chiaro? Bene, ora inizia il lavoro.
In Agenzia nessuno sta con le mani in mano, men che meno il tirocinante, che ha due sole regole da seguire: provaci, qualsiasi cosa ti venga chiesto di fare, e non aver paura di buttarti. Se fai bene il lavoro che ti è stato assegnato riceverai una pacca sulla spalla dall’account, se c’è qualcosa da rivedere la pacca sarà doppia, con le indicazioni su dove intervenire e l’incoraggiamento che ce la puoi fare. In extrema ratio, qualora la situazione si facesse “disperata” o il tempo fosse agli sgoccioli, puoi contare sull’aiuto della squadra, che non lascia indietro nessuno.
Partecipare attivamente alla vita lavorativa dell’agenzia di comunicazione è la miglior formazione che si possa ricevere.
Ho osservato, ho imparato, e soprattutto ho fatto.
Che si trattasse di un’intera campagna, di un testo breve o di un semplice status per Facebook, ogni passo mi è servito a crescere. Ho sbagliato tanto all’inizio, ma sono sempre stato corretto con pazienza, ottenendo un feedback che motivasse la correzione e mi spronasse a fare meglio.
Ora so cos’è una body copy, che il marchio parla, che la coppia creativa balla ogni giorno un diverso passo a due, che l’account ha l’ultima parola in agenzia, ma che l’ultima parola, alla fine, spetta al cliente. Ho imparato ad essere multitasking, a scegliere le parole giuste per un testo, che il lavoro va fatto velocemente ma senza sacrificare la qualità, che l’entusiasmo è alla base di questo lavoro.
Ho capito che l’agenzia di comunicazione è una famiglia un po’ pazza, ma sincera e leale, che ogni giorno affronta nuove sfide, piccole e grandi, con l’obiettivo di superarle per la soddisfazione propria e del cliente.
Sono entrato come semplice appassionato di scrittura, uscirò come aspirante copywriter.
E il caffè me lo hanno offerto i capi.
Davide Cogotti