Sul pezzo
#2 Tutti sulla stessa barca
Salvini, Salvemini e Rolling Stone
Michele Salvemini, noto ai più come Caparezza, uno dei migliori parolieri italiani degli ultimi 15 anni, in un pezzo del 2006, diceva: “chi tace soggiace alla volontà del loquace”. Una funambolica allitterazione che apprezzo e condivido, al punto da averla scritta nel mio status di WhatsApp. Ma di questo dettaglio, in fondo, chi se ne frega. Mi scuso per la divagazione personale.
Non a caso, il pezzo a cui mi riferisco si intitola “Il silenzio dei colpevoli” e, sempre poco casualmente, Caparezza è uno dei primi firmatari dell’iniziativa della rivista Rolling Stone. Conoscete la storia, no? Per i più distratti, la riassumo in breve.
La famosa rivista pop, il 5 luglio del 2018, esce con il suo numero mensile che in copertina riporta la nota bandiera arcobaleno (Pace? Pride? Inizio a confondermi…) e una copy-ad che recita “Noi non stiamo con Salvini. Da adesso chi tace è complice.”
Insieme al cantautore di Molfetta sopra citato, leggiamo anche i nomi di Daria Bignardi, Chef Rubio, Fabio Fazio, Emma Marrone e tante altre figure del mondo dello show business, della cultura e del giornalismo italiano. Insomma, intellettuali ma anche tutto il resto del mondo (o quel che resta del mondo?).
Non mi dilungo con il racconto del senso profondo di questa iniziativa, perché headline e payoff, a parer mio, già parlano chiaro. Posso però condividere con chi mi legge le sensazioni, da persona impegnata nella comunicazione, che mi ha suscitato questa azione. Chi non è interessato, può smettere di leggere questo articolo. Adesso.
L’assenza è presenza?
Questo ha insegnato Lenny Belardo, al secolo Papa Pio XIII, alla responsabile marketing e comunicazione del Vaticano, nella serie di Sorrentino “The young Pope”.
Oltre ad aver amato da morire la tenera favola di Jude Law, devo dire anche che sono molto d’accordo con questa affermazione. In questa circostanza, però, ho inserito un punto interrogativo, perché lo stupore mi ha travolto quando, tra i promotori dell’appello, non sono riuscito a scorgere nomi come Daniele Silvestri, Jovanotti, Fabio Volo (solo per citarne alcuni), personalità da sempre platealmente schierate da una certa parte del pensiero umano.
Ehi, ragazzi! (anzi, “Signori”… ormai hanno tutti circa 50 anni). Dove siete finiti? Lo chiedo a gran voce perché, in modo lapidario, Rolling Stone chiude così lo “spiegone “ della sua copertina: “Tanti sono stati contattati, non tutti hanno risposto.” Assenza? Presenza? Ignavia? Dissociazione (mentale)? Se chi tace è complice, allora quella copertina accusa tutti coloro che sono mancati all’appello.
Canta che ti passa.
Non voglio banalizzare, lo giuro sulla mia cara agenzia, ma non riesco proprio a capire perché si è aspettato così tanto per concertare (in senso sia formale che musicale) questa voglia di cantare. Mi riferisco soprattutto alla comunicazione di alcuni artisti, cantautori, che negli ultimi anni hanno cantato qualunque cosa, senza preoccuparsi di raccontare, soprattutto alle nuove generazioni, la realtà che ci circonda.
Non sono d’accordo con chi afferma “tu pensa a cantare, disgraziato, invece di fare politica!”. E nemmeno con chi semplifica in modo imbarazzante: “chiunque può fare politica, anche mio figlio di 4 anni appena sveglio. E che ci vuole!”. Sono convinto, invece, che il cantautore abbia un ruolo sociale importante, senz’altro di intrattenitore, ma anche di lettore e rilettore del mondo, di colui che offre una chiave interpretativa a chi lo ascolta, stimola punti vista, offre spazio alla riflessione e alla contemplazione di quello che ci accade.
Meglio tardi che mai? Alcuni diranno così. Il problema è che il pensiero, purtroppo, non è come il vino: se lo si lascia decantare troppo, non sempre migliora, invecchia e basta.
Nel tentativo di evitare questo presente, avreste dovuto cominciare a schiarirvi la voce (e anche le idee) già dal 1994.
Prendere (op)posizione.
Ma veniamo al dunque, alla vera relazione che intercorre tra la coloratissima copertina di Rolling Stone e il mio mestiere.
Nella comunicazione di marketing, si sa, spesso vince chi prende posizione, chi si differenzia, chi sceglie di essere “diverso” (ops, ho appena utilizzato una parola tabù!), perché è la distinzione che ci rende unici.
Salvini raccoglie tanti consensi, perché è il politico più ostile; Salvemini (quindi Caparezza) stacca un sacco di biglietti ai suoi concerti, perché è l’unico cantautore che non canta; Rolling Stone vende un mare di copie del suo ultimo numero, perché, in questo preciso momento storico, è la prima rivista pop che ha preso una netta posizione, umana ma anche politica.
Come giudichiamo tutto questo? Mero interesse? Affari personali?
Come si domanderebbe il poeta pugliese qui stracitato, meglio fare affari posizionandosi o farsi gli affari propri sbattendosene? Un’agenzia di comunicazione dovrebbe realizzare la campagna elettorale di un politico che non voterebbe mai? Siamo tutti così bravi da saper separare, senza batter ciglio, la forma dal contenuto?
Un’enorme quantità di domande che forse non hanno una risposta univoca ma, di questi tempi, anche solo porsi quesiti giusti è già segno di evoluzione.
Anche se non so dare una risposta definitiva, sono però certo di due cose: il mio mestiere, come quella copertina, è fatto di altrettanti colori e inoltre la nostra agenzia, ve lo garantisco, non chiuderà mai le sue porte. A nessuno (?).
Marco Duò